giovedì 6 giugno 2019

La vita è come il teatro


La vita è come il teatro.
Un'opera teatrale 
in cui tutti i personaggi 
hanno un loro ruolo,
si mostrano agli altri
solo attraverso una maschera.

Recitano la loro parte,
entrano ed escono di scena 
al momento opportuno
trastullando
sulla loro identità costruita.

Elvira Nania

giovedì 14 febbraio 2019

Artemisia Gentileschi, un talento per lungo tempo invisibile...la prima donna a denunciare lo stupro subito a 17 anni e la sua rivalsa in un settore dominato dagli uomini

Artemisia Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593- Napoli, 14 giugno 1653) è stata una delle più grandi pittrici italiane del XVII secolo ed è considerata un'artista di scuola caravaggesca per le sue pennellate che riprendono lo stile di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
A fianco, un suo autoritratto come Allegoria della Pittura, dipinto olio su tela tra il 1638 e il 1639 ed è conservato a Londra al Kensington Palace.
Il dipinto, firmato con la sigla A.G.F. dove probabilmente la F sta per Fecit, inizialmente si trovava nella collezione d'opere d'arte di re Carlo I. Disperso, dopo la morte del re, fu poi recuperato al tempo della Restaurazione e reintegrato nelle collezioni reali.
Si tratta di una splendida Allegoria della Pittura personificata da una donna consapevole di sé, del suo talento, che non si mostra frontalmente verso lo spettatore come i tradizionali autoritratti del tempo intenti a celebrare lo status sociale dell’artista. A differenza dei pittori che si raffiguravano seduti difronte al cavalletto, ben vestiti, con lo sguardo posato, rivolti verso lo spettatore, Artemisia, nel suo autoritratto, non guarda il pubblico ma si china sul modello, sulla propria immagine riflessa negli specchi, si ritrae in piena azione, mentre concentra tutta la sua attenzione sulla sua creazione. 
Sembra dare battaglia ai pregiudizi sociali dell’epoca, quando alle donne ogni loro aspirazione artistica veniva repressa e ignorata.

Per molti secoli, molte donne artiste restano “invisibili” fra le mura di casa o di un convento, dedite alle cosiddette arti minori quali il ricamo, la tessitura, la miniatura. Le donne vivevano ai margini della società, non potevano frequentare scuole o botteghe d’arte, non erano ammesse alle Accademie, l'unico modo per diventare pittrici era quello di avere un padre, un fratello o un marito pittore.


Solo a partire dal XVI secolo alcune pittrici, seppure sotto l’ala dei padri o dei mariti riescono a farsi conoscere al di là dei confini cittadini e le più dotate s’impongono addirittura in ambito europeo.

Al tempo di Artemisia solo due donne si erano distinte nell'ambito artistico, due provette ritrattiste, Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana delle quali parlerò nei prossimi post insieme ad altri talenti femminili.

Artemisia Gentileschi, grazie al suo coraggio, alla sua forza di volontà, riesce a superare la barriera dei pregiudizi sociali e ad affermarsi tra i pittori più significativi del tempo.

Nasce a Roma nel 1593 da Orazio Gentileschi, noto pittore toscano e da Prudenzia Montone che muore quando Artemisia ha solo 12 anni.
Artemisia mostra un precoce talento per la pittura e il padre, intuendo tali doti eccezionali, la incoraggia e le permette di fare apprendistato presso la sua bottega d'arte. 

Artemisia, sotto l'ala del padre, vive la sua giovinezza in un ambiente ricco di stimoli artistici, conosce  da vicino molti artisti di fama e le loro opere, visita  Cappelle, cantieri e gallerie d'arte. Non è escluso che Artemisia conoscesse di persona anche Caravaggio, amico del padre, che, stando alle cronache, si recava spesso nella bottega di Orazio per prendere in prestito strumenti di lavoro. 


Nel 1610, benché giovanissima e in un settore dominato dagli uomini, Artemisia, appena diciassettenne, riesce a farsi conoscere con uno dei sui dipinti più famosi

Susanna e i vecchioni. Fu esibito dal padre Orazio per dimostrare al pubblico la maestria raggiunta dalla figlia. Si tratta di un episodio biblico dell'Antico Testamento rappresentato da molto artisti del Seicento. L'episodio della giovane donna babilonese e di due vecchi giudici che la insidiano e poi la accusano ingiustamente di aver tradito il marito. Artemisia Gentileschi realizza varie versioni dedicate a questo episodio, anche per ragioni autobiografiche. Gli studiosi identificano nel personaggio più giovane, il Tassi. Il tratto naturalistico richiama lo stile di Caravaggio.

L'opera, olio su tela (170x119 cm), Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden.




Ma la vita di Artemisia Gentileschi cambia bruscamente all'età di 17 anni quando subisce lo stupro da parte di Agostino Tassi, amico e collega del padre. 
Un dramma personale che la segnò per tutta la vita. 

Agostino Tassi (1578-1644) umbro d'origine, era un pittore di talento, un artista molto apprezzato per l’originalità dei suoi lavori paesaggistici. Esperto quadraturista, dipingeva prospettive architettoniche illusionistiche, tanto da essere considerato un anticipatore dell'illusionismo barocco.
Ma, era incostante, collerico, con una
personalità particolare, ebbe una vita piuttosto tumultuosa, un carattere prepotente tanto da essere chiamato lo “smargiasso”.
Nel 1610 si trasferisce a Roma dove apre una propria bottega d’arte e stringe amicizia con Orazio Gentileschi. A Roma, il Tassi su commissione, decorò diversi palazzi e ville, Palazzo del Quirinale, Palazzo Doria Pamphilj, Palazzo Lancellotti  e Palazzo Pallavicini Rospigliosi nel quale il Cardinale Scipione Caffarelli-Borghese gli aveva affidato la decorazione a fresco del Casino delle Muse, insieme a Orazio Gentileschi. Spesso dopo il lavoro, il Tassi si recava a casa dell'amico Orazio dove ebbe modo di conoscere Artemisia. 

Orazio Gentileschi teneva molto alla formazione artistica completa di sua figlia, così, fiducioso, l’affidò al suo collaboratore Agostino Tassi per insegnarle la tecnica della prospettiva.

All'epoca, nel 1611, i Gentileschi vivevano a Roma. Artemisia diciassettenne, quando il padre era assente si trovava sotto la sorveglianza di una vicina, Tuzia.

Il Tassi inizia a frequentare la casa per le lezioni, si invaghisce di Artemisia e tenta, in diverse occasioni, di sedurla. Ma la ragazza rifiuta quelle continue avances e nonostante la resistenza, il Tassi, un giorno approfittando dell'assenza del padre, l'aggredisce e la violenta. 

Dopo averla aggredita, Agostino le ribadisce il suo amore e le promette che la sposerà per rimediare al disonore. Il problema è che il pittore è già sposato. Artemisia, all'oscuro di tutto, decide di portare avanti la relazione nella speranza di essere sposata, ma quando scopre come stanno effettivamente le cose, racconta tutto al padre.

Lo stupro - Così racconta Artemisia: “Era un giorno di pioggia del 1611 quando Agostino entrò…la porta era rimasta aperta mentre io dipingevo. Agostino aveva intenzioni precise, ha mandato via l’altra donna che era con me e mi invitava a lasciare lo sgabello per sgranchirmi le gambe, dicea, camminando un poco anche solo in casa. Ho capito subito che i suoi modi erano piuttosto strani, dopo poco…ho finto di sentirmi male, di avere la febbre, ma Agostino non se ne è curato, m’ha spinta in camera e mi s’è buttato addosso come un toro infuriato, dopo avergli resistito come ho possuto m’ha sopraffatta ...il maledetto!.. Dopo al patto del silenzio, Agostino mi ha promesso un matrimonio riparatore, la vergogna e la sua promessa mi hanno convinta a tacere . . .ma scoprii che Agostino era già maritato e così lo denunciai”.

Così Artemisia decise di andare incontro ad un lungo, doloroso ed umiliante processo pur di vedere riconosciuti i propri diritti e vedere punito il suo aggressore.

Il processo inizia nel marzo 1612 e si protrae fino a novembre dello stesso anno. Nel corso del processo la difesa del Tassi tenterà in tutti i modi di screditare la ragazza che in pubblico è costretta a deporre la sua testimonianza sotto la tortura della Sibilla, viene sottoposta allo schiacciamento dei pollici, un tipo di tortura devastante, soprattutto per una pittrice, che avrebbe potuto impedirle per sempre di dipingere. Consisteva nel legare i pollici a delle cordicelle che, tramite l'utilizzo di un randello, si stringevano sempre di più fino a stritolare le falangi. Ma nonostante la tortura, Artemisia non ritratta la sua testimonianza.

Al termine del processo viene riconosciuta la colpevolezza del Tassi che verrà condannato. Ma se la caverà con una sentenza, a dir poco, ridicola. Una condanna a scelta, 5 anni di lavori forzati oppure l’esilio da Roma. 
Il Tassi, ovviamente, scelse l’esilio e si allontanò da Roma.

Ad Artemisia resterà il dolore del processo e la vergogna dello stupro, la diffamazione per aver taciuto per troppo tempo, l’umiliazione dell’interrogatorio e quella di essere considerata una donna licenziosa di facili costumi.

Dopo la sentenza e lo scandalo suscitato dal processo, Orazio Gentileschi organizzò un matrimonio riparatore per la figlia, in modo che recuperasse la dignità perduta. Artemisia il 29 novembre 1612, a due giorni dalla sentenza, acconsente di sposare Pierantonio Stiattesi, pittore fiorentino, amico del padre, ma in seguito interrompe ogni rapporto con il genitore, si trasferisce a Firenze e sceglie di adottare il cognome Lomi, per firmare le sue opere e distinguersi dal padre.

Nel periodo fiorentino, Artemisia elabora una propria tecnica, si ispira a quella di Caravaggio e di Orazio, suo maestro. Predilige tinte più forti e raffigura essenzialmente donne coraggiose, determinate e dedite al sacrificio come le eroine bibliche, quali la Conversione della Maddalena e la Giuditta con la sua ancella. 

Il 19 luglio 1616, grazie alla protezione di Cosimo II dei Medici, Artemisia raggiunge un prestigioso riconoscimento della sua maestria, diventa membro dell’Accademia del Disegno di Firenze, prima donna a ricevere questo privilegio.
A Firenze ebbe modo di conoscere eminenti personalità della Scienza e della Cultura, quali Galileo Galilei (1564-1642) con cui instaura un rapporto epistolare e poi Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1546) pronipote del grande pittore e scultore Michelangelo Buonarroti.



Michelangelo il Giovane, tra la fine del 1515 e l'inizio del 1616 le commissionò un'opera per casa Buonarroti, l'Allegoria dell' Inclinazione diede precise indicazioni iconografiche ed un generoso compenso di ben 34 fiorini. 
Artemisia quando realizzò questo dipinto aveva 22 anni, raffigurò una donna completamente nuda, con una bussola tra le mani ed una piccola stella in alto a destra, il corpo illuminato da una luce intensa e i capelli scomposti. Una donna sensuale che incarnasse l'allegoria della Inclinazione ovvero del talento naturale verso l'arte. Con una libertà sconcertante la pittrice aveva raffigurato se stessa in tutta la sua naturalezza. Una nudità che oggi possiamo solo immaginare perché nel 1684 Lionardo Buonarroti, nipote del committente, ordinò al pittore Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, di coprire con dei drappeggi moralistici le parti intime della donna, così come avvenne ai nudi del Giudizio Universale della cappella sistina, affrescata dal grande Michelangelo, a seguito di una forte censura ecclesiastica.
Alcuni studiosi sostengono che tali fattezze abbiano le stesse inclinazioni di un suo ritratto giovanile. 

Allegoria dell'Inclinazione (1515/1516), 152 x 61 cm., Casa Buonarroti, Firenze


Ma ad un certo punto la convivenza matrimoniale diventa difficile, Artemisia e il marito non vanno più d'accordo, grossi problemi economici li mettono in contrasto, e nel 1620 Artemisia chiede il permesso a Cosimo II di trascorre un periodo di tempo a Roma. Ma non fece più ritorno a Firenze.  

Il nuovo periodo romano è molto produttivo,Artemisia è già un'artista affermata, ha una bella casa e una famiglia, anche se poco dopo si separa dal marito. 
Ma non a caso la sua pittura punta sempre su personaggi femminili, un motivo autobiografico dovuto a quel dramma personale vissuto nel 1611 nella stessa Roma. 

Artemisia Gentileschi viaggia molto, va a Venezia, a Napoli dove apre una sua bottega d'arte e forma degli allievi. Poi va a Londra per raggiungere il padre che lavora presso la corte di re Carlo I. 
Dopo tanti anni, padre e figlia sono di nuovo insieme, non più come maestro e allieva ma come colleghi, lavorano a un nuovo progetto. 
Ma durerà poco, perché il padre morirà improvvisamente un anno dopo. 
Dopo la morte del padre, Artemisia torna a Napoli dove vive gli ultimi anni della sua vita. Muore nel 1653 lasciando in eredità i suoi capolavori e la consapevolezza che nessun talento può essere represso dai pregiudizi sociali. 

Un'artista così precoce, così eccezionale, per molti secoli fu trascurata dagli storici dell'arte, dai suoi contemporanei che si interessarono a lei in quanto protagonista di una vicenda biografica scandalistica e non alle sue opere pittoriche. Solo nel 1916 Roberto Longhi, grande critico dell'arte del '900 scrive un articolo fondamentale per i due Gentileschi, padre e figlia, e compie un'analisi della produzione della figlia in autonomia da quella del padre, e distingue molte opere che fino ad allora erano state confuse e attribuite l'una o all'altro in modo erroneo. Lascia un giudizio su Artemisia molto lusinghiero, la definisce: l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia la pittura, il colore e l’essenzialità.  

La pittura della Gentileschi fa un passo avanti rispetto al contesto coevo perché nella sua arte non c'è soltanto tecnica e stile ma anche lo scavo psicologico e intellettuale del soggetto rappresentato. La raffigurazione delle vicende e dei personaggi che dipinge è la metafora del suo stesso vissuto.


Negli anni settanta del Novecento, per la notorietà assunta dal processo per stupro subito, diventò un simbolo del femminismo internazionale. 
La sua immagine di donna talentuosa, determinata, impegnata, rappresentò e rappresenta tutt'ora l'immagine d'indipendenza contro le difficoltà e pregiudizi incontrati nella sua vita per lungo tempo travagliata.


Alcuni dei suoi capolavori, unici, emozionanti. 








@ Elvira Nania