mercoledì 30 agosto 2023

Un originale interprete del dinamismo: Umberto Boccioni

                                             

UMBERTO BOCCIONI (1882-1916) nasce a Reggio Calabria da genitori romagnoli. Nel 1899 si trasferisce a Roma, dove frequenta la Scuola libera del nudo e lo studio dell'artista Giacomo Balla (1871-1958) dal quale apprende la tecnica divisionista. Nel 1906 lascia Roma e dopo un lungo viaggio che lo porta a Parigi, Mosca, San Pietroburgo, Varsavia e Vienna, si stabilisce a Milano. Qui conosce Marinetti e aderisce con entusiasmo al Futurismo. Arruolatosi nel reggimento di artiglieria di campagna, muore prematuramente in seguito a una caduta da cavallo a pochi chilometri da Verona.  

Boccioni è l'artista che, attraverso le sue opere e i numerosi scritti teorici, ha indagato in maniera più approfondita e originale il tema del dinamismo sia in pittura che in scultura. 



Umberto Boccioni,  La città che sale, 1910-1911,  olio su tela, 199,3 x 301 cm. New York, Museum of Modern Art.      

(Il bozzetto preparatorio dell'opera è esposto nella collezione della Pinacoteca di Brera a Milano). 

Nel 1912 il quadro fu acquistato dal musicista Ferruccio Busoni nel corso della mostra d'opere futuriste itinerante in Europa. 
Il dipinto si ispira alla costruzione di una centrale elettrica alla periferia di Milano e rappresenta il progresso industriale e il dinamismo umano tanto amati dai pittori futuristi. 
Il titolo originale era Il lavoro così come apparve nel 1911 alla Mostra d'Arte libera di Milano. 
Il dipinto viene considerato la prima opera futurista di Boccioni. 
 
La composizione mostra una scena vista dall'artista da una finestra della sua casa milanese: i lavori di scavo per la realizzazione di una vasca di raffreddamento di una centrale elettrica. L'artista si allontana parzialmente dalla visione naturalistica dei quadri precedenti per lasciare posto ad una visione più movimentata e dinamica. Nonostante la presenza di alcuni elementi realistici come il cantiere o le costruzioni, l'artista, per raffigurare il movimento rapido e dinamico (tipico dei Futuristi), ricorre alla fusione tra soggetto e spazio attraverso un turbinio di colori vivaci e innaturali. Lo spazio è rappresentato dalla sovrapposizione di figure e colori ed è privo di prospettiva aerea. Solo nella parte superiore si coglie una leggera prospettiva geometrica data dalla presenza di palazzi in costruzione, impalcature e una fabbrica (in alto a destra). La dinamica e febbrile attività di uomini e cavalli, che si fondono in un moto vorticoso con lo spazio circostante, è resa dall'utilizzo di colori primari (rosso, blu, giallo) stesi con una pennellata filamentosa, di matrice divisionista, che sottolinea la deformazione dei corpi appena riconoscibili. Le rifrazioni luminose moltiplicano le vibrazioni delle figure e le dilatano nello spazio secondo un andamento ascensionale e incalzante.
Ciò che mette il dipinto perfettamente in linea con lo spirito futurista è l'esaltazione visiva della forza e del movimento della quale sono protagonisti uomini e cavalli e non macchine. 
Il cavallo, ripetuto più volte sulla tela, è un soggetto ricorrente nella pittura di Boccioni perché esprime energia e vitalismo. 


Nel 1912, rientrato a Milano dopo un soggiorno a Parigi dove visita gli studi degli scultori Archipenko, Brancusi e Duchamp, Umberto Boccioni si dedica quasi in modo esclusivo alla scultura e allo studio del moto del corpo umano nell'ambiente circostante.

Negli anni 1012-1913 Boccioni realizza una serie di opere scultoree di soggetto dinamico (corpi in movimento fusi con lo spazio attraversato) che gli consentono di mettere a fuoco un concetto chiave del Futurismo: il dinamismo plastico.


Umberto Boccioni, 
Forme uniche della continuità nello spazio, 1913,
Bronzo (fusione del 1931), 112 x 40 x 90 cm. 
Milano, Museo del Novecento
(L'originale in gesso è conservato al Museu de Arte di San Paolo del Brasile)

Nella celebre scultura futurista Forme uniche della continuità nello spazio, l'artista rinuncia al naturalismo descrittivo e alla riproduzione cinematica del moto per rappresentare, in una sintesi volumetrica, una forma in movimento che si dilata nello spazio circostante.
Boccioni si allontana dai modelli figurativi tradizionali del passato e rappresenta un dinamismo in continua evoluzione, tipico del mondo contemporaneo.

La figura maschile (priva degli arti superiori) che avanza con passo deciso, si sviluppa in alcune linee-forza diagonali e in una sequenza di curve concave e convesse, come se lo spazio circostante svolgesse una funzione attiva nel plasmare il corpo. 
I solchi e gli spigoli che tagliano i piani formano alcune triangolazioni nel busto, nelle gambe, nella testa che sembrano prolungarsi al di là del corpo. 
L'elasticità del muscoli, nell'alternanza di pieni e vuoti, suggerisce un'espansione dinamica della forma attraverso la quale l'oggetto partecipa a quello che Boccioni definiva "dinamismo universale". 
L'opera è considerata uno dei più grandi capolavori del Futurismo. 

Boccioni ha realizzato il bozzetto originale in gesso nel 1913. Purtroppo l'artista non riuscì a vedere la sua opera riprodotta in bronzo. Il 17 agosto 1916, sfortunatamente Boccioni, proprio nel pieno della sua produzione artistica, muore a Sorte (Verona) cadendo da cavallo.
Le prime riproduzioni in bronzo, infatti, risalgono al 1931 quando l'originale in gesso e una copia in bronzo sono stati esposti al Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile. 






La scultura 
Forme uniche della continuità nello spazio, è raffigurata sul verso della moneta da 20 centesimi di euro coniata in Italia. La marcia dell'uomo suggerisce l'avanzare eroico verso il futuro e raffigura alla perfezione l'ideale di velocità e di dinamismo che animava il Futurismo, uno dei primi movimenti d'avanguardia storica in Italia. 


E.N. 











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lunedì 12 giugno 2023

Aforisma

 


Nel profondo dell'inverno,

 

ho finalmente capito che dentro di me c'era un'estate invincibile.

 

Albert Camus

sabato 12 novembre 2022

Meglio soli che male accompagnati



Meglio soli che male accompagnati
è un proverbio italiano dal significato abbastanza intuitivo: 
per quanto alcuni possano trovare poco piacevole la solitudine, quest'ultima è sempre preferibile a una compagnia poco gradevole o comunque poco confacente alla propria personalità.

venerdì 12 giugno 2020

Così m'appari




Come una ninfea fiorita 
in acque stagnanti 
tra canneti spezzati
e foglie vaganti.

    Elvira Nania

giovedì 6 giugno 2019

La vita è come il teatro


La vita è come il teatro.
Un'opera teatrale 
in cui tutti i personaggi 
hanno un loro ruolo,
si mostrano agli altri
solo attraverso una maschera.

Recitano la loro parte,
entrano ed escono di scena 
al momento opportuno
trastullando
sulla loro identità costruita.

Elvira Nania

giovedì 14 febbraio 2019

Artemisia Gentileschi, un talento per lungo tempo invisibile...la prima donna a denunciare lo stupro subito a 17 anni e la sua rivalsa in un settore dominato dagli uomini

Artemisia Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593- Napoli, 14 giugno 1653) è stata una delle più grandi pittrici italiane del XVII secolo ed è considerata un'artista di scuola caravaggesca per le sue pennellate che riprendono lo stile di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio.
A fianco, un suo autoritratto come Allegoria della Pittura, dipinto olio su tela tra il 1638 e il 1639 ed è conservato a Londra al Kensington Palace.
Il dipinto, firmato con la sigla A.G.F. dove probabilmente la F sta per Fecit, inizialmente si trovava nella collezione d'opere d'arte di re Carlo I. Disperso, dopo la morte del re, fu poi recuperato al tempo della Restaurazione e reintegrato nelle collezioni reali.
Si tratta di una splendida Allegoria della Pittura personificata da una donna consapevole di sé, del suo talento, che non si mostra frontalmente verso lo spettatore come i tradizionali autoritratti del tempo intenti a celebrare lo status sociale dell’artista. A differenza dei pittori che si raffiguravano seduti difronte al cavalletto, ben vestiti, con lo sguardo posato, rivolti verso lo spettatore, Artemisia, nel suo autoritratto, non guarda il pubblico ma si china sul modello, sulla propria immagine riflessa negli specchi, si ritrae in piena azione, mentre concentra tutta la sua attenzione sulla sua creazione. 
Sembra dare battaglia ai pregiudizi sociali dell’epoca, quando alle donne ogni loro aspirazione artistica veniva repressa e ignorata.

Per molti secoli, molte donne artiste restano “invisibili” fra le mura di casa o di un convento, dedite alle cosiddette arti minori quali il ricamo, la tessitura, la miniatura. Le donne vivevano ai margini della società, non potevano frequentare scuole o botteghe d’arte, non erano ammesse alle Accademie, l'unico modo per diventare pittrici era quello di avere un padre, un fratello o un marito pittore.


Solo a partire dal XVI secolo alcune pittrici, seppure sotto l’ala dei padri o dei mariti riescono a farsi conoscere al di là dei confini cittadini e le più dotate s’impongono addirittura in ambito europeo.

Al tempo di Artemisia solo due donne si erano distinte nell'ambito artistico, due provette ritrattiste, Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana delle quali parlerò nei prossimi post insieme ad altri talenti femminili.

Artemisia Gentileschi, grazie al suo coraggio, alla sua forza di volontà, riesce a superare la barriera dei pregiudizi sociali e ad affermarsi tra i pittori più significativi del tempo.

Nasce a Roma nel 1593 da Orazio Gentileschi, noto pittore toscano e da Prudenzia Montone che muore quando Artemisia ha solo 12 anni.
Artemisia mostra un precoce talento per la pittura e il padre, intuendo tali doti eccezionali, la incoraggia e le permette di fare apprendistato presso la sua bottega d'arte. 

Artemisia, sotto l'ala del padre, vive la sua giovinezza in un ambiente ricco di stimoli artistici, conosce  da vicino molti artisti di fama e le loro opere, visita  Cappelle, cantieri e gallerie d'arte. Non è escluso che Artemisia conoscesse di persona anche Caravaggio, amico del padre, che, stando alle cronache, si recava spesso nella bottega di Orazio per prendere in prestito strumenti di lavoro. 


Nel 1610, benché giovanissima e in un settore dominato dagli uomini, Artemisia, appena diciassettenne, riesce a farsi conoscere con uno dei sui dipinti più famosi

Susanna e i vecchioni. Fu esibito dal padre Orazio per dimostrare al pubblico la maestria raggiunta dalla figlia. Si tratta di un episodio biblico dell'Antico Testamento rappresentato da molto artisti del Seicento. L'episodio della giovane donna babilonese e di due vecchi giudici che la insidiano e poi la accusano ingiustamente di aver tradito il marito. Artemisia Gentileschi realizza varie versioni dedicate a questo episodio, anche per ragioni autobiografiche. Gli studiosi identificano nel personaggio più giovane, il Tassi. Il tratto naturalistico richiama lo stile di Caravaggio.

L'opera, olio su tela (170x119 cm), Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden.




Ma la vita di Artemisia Gentileschi cambia bruscamente all'età di 17 anni quando subisce lo stupro da parte di Agostino Tassi, amico e collega del padre. 
Un dramma personale che la segnò per tutta la vita. 

Agostino Tassi (1578-1644) umbro d'origine, era un pittore di talento, un artista molto apprezzato per l’originalità dei suoi lavori paesaggistici. Esperto quadraturista, dipingeva prospettive architettoniche illusionistiche, tanto da essere considerato un anticipatore dell'illusionismo barocco.
Ma, era incostante, collerico, con una
personalità particolare, ebbe una vita piuttosto tumultuosa, un carattere prepotente tanto da essere chiamato lo “smargiasso”.
Nel 1610 si trasferisce a Roma dove apre una propria bottega d’arte e stringe amicizia con Orazio Gentileschi. A Roma, il Tassi su commissione, decorò diversi palazzi e ville, Palazzo del Quirinale, Palazzo Doria Pamphilj, Palazzo Lancellotti  e Palazzo Pallavicini Rospigliosi nel quale il Cardinale Scipione Caffarelli-Borghese gli aveva affidato la decorazione a fresco del Casino delle Muse, insieme a Orazio Gentileschi. Spesso dopo il lavoro, il Tassi si recava a casa dell'amico Orazio dove ebbe modo di conoscere Artemisia. 

Orazio Gentileschi teneva molto alla formazione artistica completa di sua figlia, così, fiducioso, l’affidò al suo collaboratore Agostino Tassi per insegnarle la tecnica della prospettiva.

All'epoca, nel 1611, i Gentileschi vivevano a Roma. Artemisia diciassettenne, quando il padre era assente si trovava sotto la sorveglianza di una vicina, Tuzia.

Il Tassi inizia a frequentare la casa per le lezioni, si invaghisce di Artemisia e tenta, in diverse occasioni, di sedurla. Ma la ragazza rifiuta quelle continue avances e nonostante la resistenza, il Tassi, un giorno approfittando dell'assenza del padre, l'aggredisce e la violenta. 

Dopo averla aggredita, Agostino le ribadisce il suo amore e le promette che la sposerà per rimediare al disonore. Il problema è che il pittore è già sposato. Artemisia, all'oscuro di tutto, decide di portare avanti la relazione nella speranza di essere sposata, ma quando scopre come stanno effettivamente le cose, racconta tutto al padre.

Lo stupro - Così racconta Artemisia: “Era un giorno di pioggia del 1611 quando Agostino entrò…la porta era rimasta aperta mentre io dipingevo. Agostino aveva intenzioni precise, ha mandato via l’altra donna che era con me e mi invitava a lasciare lo sgabello per sgranchirmi le gambe, dicea, camminando un poco anche solo in casa. Ho capito subito che i suoi modi erano piuttosto strani, dopo poco…ho finto di sentirmi male, di avere la febbre, ma Agostino non se ne è curato, m’ha spinta in camera e mi s’è buttato addosso come un toro infuriato, dopo avergli resistito come ho possuto m’ha sopraffatta ...il maledetto!.. Dopo al patto del silenzio, Agostino mi ha promesso un matrimonio riparatore, la vergogna e la sua promessa mi hanno convinta a tacere . . .ma scoprii che Agostino era già maritato e così lo denunciai”.

Così Artemisia decise di andare incontro ad un lungo, doloroso ed umiliante processo pur di vedere riconosciuti i propri diritti e vedere punito il suo aggressore.

Il processo inizia nel marzo 1612 e si protrae fino a novembre dello stesso anno. Nel corso del processo la difesa del Tassi tenterà in tutti i modi di screditare la ragazza che in pubblico è costretta a deporre la sua testimonianza sotto la tortura della Sibilla, viene sottoposta allo schiacciamento dei pollici, un tipo di tortura devastante, soprattutto per una pittrice, che avrebbe potuto impedirle per sempre di dipingere. Consisteva nel legare i pollici a delle cordicelle che, tramite l'utilizzo di un randello, si stringevano sempre di più fino a stritolare le falangi. Ma nonostante la tortura, Artemisia non ritratta la sua testimonianza.

Al termine del processo viene riconosciuta la colpevolezza del Tassi che verrà condannato. Ma se la caverà con una sentenza, a dir poco, ridicola. Una condanna a scelta, 5 anni di lavori forzati oppure l’esilio da Roma. 
Il Tassi, ovviamente, scelse l’esilio e si allontanò da Roma.

Ad Artemisia resterà il dolore del processo e la vergogna dello stupro, la diffamazione per aver taciuto per troppo tempo, l’umiliazione dell’interrogatorio e quella di essere considerata una donna licenziosa di facili costumi.

Dopo la sentenza e lo scandalo suscitato dal processo, Orazio Gentileschi organizzò un matrimonio riparatore per la figlia, in modo che recuperasse la dignità perduta. Artemisia il 29 novembre 1612, a due giorni dalla sentenza, acconsente di sposare Pierantonio Stiattesi, pittore fiorentino, amico del padre, ma in seguito interrompe ogni rapporto con il genitore, si trasferisce a Firenze e sceglie di adottare il cognome Lomi, per firmare le sue opere e distinguersi dal padre.

Nel periodo fiorentino, Artemisia elabora una propria tecnica, si ispira a quella di Caravaggio e di Orazio, suo maestro. Predilige tinte più forti e raffigura essenzialmente donne coraggiose, determinate e dedite al sacrificio come le eroine bibliche, quali la Conversione della Maddalena e la Giuditta con la sua ancella. 

Il 19 luglio 1616, grazie alla protezione di Cosimo II dei Medici, Artemisia raggiunge un prestigioso riconoscimento della sua maestria, diventa membro dell’Accademia del Disegno di Firenze, prima donna a ricevere questo privilegio.
A Firenze ebbe modo di conoscere eminenti personalità della Scienza e della Cultura, quali Galileo Galilei (1564-1642) con cui instaura un rapporto epistolare e poi Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1546) pronipote del grande pittore e scultore Michelangelo Buonarroti.



Michelangelo il Giovane, tra la fine del 1515 e l'inizio del 1616 le commissionò un'opera per casa Buonarroti, l'Allegoria dell' Inclinazione diede precise indicazioni iconografiche ed un generoso compenso di ben 34 fiorini. 
Artemisia quando realizzò questo dipinto aveva 22 anni, raffigurò una donna completamente nuda, con una bussola tra le mani ed una piccola stella in alto a destra, il corpo illuminato da una luce intensa e i capelli scomposti. Una donna sensuale che incarnasse l'allegoria della Inclinazione ovvero del talento naturale verso l'arte. Con una libertà sconcertante la pittrice aveva raffigurato se stessa in tutta la sua naturalezza. Una nudità che oggi possiamo solo immaginare perché nel 1684 Lionardo Buonarroti, nipote del committente, ordinò al pittore Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, di coprire con dei drappeggi moralistici le parti intime della donna, così come avvenne ai nudi del Giudizio Universale della cappella sistina, affrescata dal grande Michelangelo, a seguito di una forte censura ecclesiastica.
Alcuni studiosi sostengono che tali fattezze abbiano le stesse inclinazioni di un suo ritratto giovanile. 

Allegoria dell'Inclinazione (1515/1516), 152 x 61 cm., Casa Buonarroti, Firenze


Ma ad un certo punto la convivenza matrimoniale diventa difficile, Artemisia e il marito non vanno più d'accordo, grossi problemi economici li mettono in contrasto, e nel 1620 Artemisia chiede il permesso a Cosimo II di trascorre un periodo di tempo a Roma. Ma non fece più ritorno a Firenze.  

Il nuovo periodo romano è molto produttivo,Artemisia è già un'artista affermata, ha una bella casa e una famiglia, anche se poco dopo si separa dal marito. 
Ma non a caso la sua pittura punta sempre su personaggi femminili, un motivo autobiografico dovuto a quel dramma personale vissuto nel 1611 nella stessa Roma. 

Artemisia Gentileschi viaggia molto, va a Venezia, a Napoli dove apre una sua bottega d'arte e forma degli allievi. Poi va a Londra per raggiungere il padre che lavora presso la corte di re Carlo I. 
Dopo tanti anni, padre e figlia sono di nuovo insieme, non più come maestro e allieva ma come colleghi, lavorano a un nuovo progetto. 
Ma durerà poco, perché il padre morirà improvvisamente un anno dopo. 
Dopo la morte del padre, Artemisia torna a Napoli dove vive gli ultimi anni della sua vita. Muore nel 1653 lasciando in eredità i suoi capolavori e la consapevolezza che nessun talento può essere represso dai pregiudizi sociali. 

Un'artista così precoce, così eccezionale, per molti secoli fu trascurata dagli storici dell'arte, dai suoi contemporanei che si interessarono a lei in quanto protagonista di una vicenda biografica scandalistica e non alle sue opere pittoriche. Solo nel 1916 Roberto Longhi, grande critico dell'arte del '900 scrive un articolo fondamentale per i due Gentileschi, padre e figlia, e compie un'analisi della produzione della figlia in autonomia da quella del padre, e distingue molte opere che fino ad allora erano state confuse e attribuite l'una o all'altro in modo erroneo. Lascia un giudizio su Artemisia molto lusinghiero, la definisce: l'unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia la pittura, il colore e l’essenzialità.  

La pittura della Gentileschi fa un passo avanti rispetto al contesto coevo perché nella sua arte non c'è soltanto tecnica e stile ma anche lo scavo psicologico e intellettuale del soggetto rappresentato. La raffigurazione delle vicende e dei personaggi che dipinge è la metafora del suo stesso vissuto.


Negli anni settanta del Novecento, per la notorietà assunta dal processo per stupro subito, diventò un simbolo del femminismo internazionale. 
La sua immagine di donna talentuosa, determinata, impegnata, rappresentò e rappresenta tutt'ora l'immagine d'indipendenza contro le difficoltà e pregiudizi incontrati nella sua vita per lungo tempo travagliata.


Alcuni dei suoi capolavori, unici, emozionanti. 








@ Elvira Nania

sabato 3 novembre 2018

Il Nubifragio - Scordia 18/19 ottobre 2018


Il Nubifragio

Notte inquieta, lunga, nefasta,
rallentavano le ore
l'alba sembrava attardarsi
mentre la pioggia continuava
 incessantemente a cadere.

Madre natura, quella notte,
si era insediata nel cielo,
lanciando fulmini e tuoni
colpì fortemente la terra.

Rivendicava le sue creature.

Con forza impetuosa
 strappò le radici alla terra,
e il corso ai sentieri mutò.

Si dilatano profonde ferite
voragini colme di pianto.

Quando l'aria divenne più chiara
volti sconvolti, occhi impauriti
dispersi su un'ampia distesa 
di massi, di fango e detriti
 poderi rapiti dal tempo.

Piange Scordia
 sulle chiome di alberi contorti
sui giardini devastati, sui frutti distrutti
sulle strade ingoiate dal suolo
sui confini di colpo investiti.

Piange la città sui massi randagi
sulle case sconvolte dal fango
sugli scantinati inondati
sulle masse d'acqua straripanti.

Notte d'angoscia e di dolore
nubifragio nell'animo umano
riemergono i figli della natura
dal lontano passato, interrati.

Forti tensioni geologiche,
corpi rocciosi riportano alla luce
storiche realtà mai esplorate.

E' la fine drammatica di un'era 
 l'inizio della resa dei conti.

Elvira Nania

Scordia, 20-10-2018





martedì 9 ottobre 2018

Il Sogno



Viaggio nel sogno 
con l'amica luna
che mi guida 
verso le stelle.
Parlo con il tempo 
lo supplico
di non fuggire
negli attimi felici
e di non fermarsi mai
nei momenti
di dolore.

Elvira Nania

  

Se la vita fosse un film


Se la vita fosse un film 
 riavvolgerei volentieri il nastro
per poter tornare indietro nel tempo.

Cambierei scene, attori e copioni
le maschere teatrali eliminerei 
le recite da tutte le impurità ripulirei.  


Elvira Nania

domenica 7 ottobre 2018

Voltare pagina



E' per vivere che siamo nati
non per soffrire
basta voltare pagina
e ricominciare a leggere 
un nuovo capitolo . . .

Elvira Nania